Albero della Vita, l’integrazione dei sistemi che governano il simbolo di EXPO

Una nuova sfida

Questa storia, ne sono certo, la conosci già. Molto probabilmente tu stesso, come tantissimi altri, l’hai anche vista accadere. Magari, quando l’hai vista, ti sei perfino chiesto come fosse nata. Ricordi l’Albero della Vita di Expo 2015? Ebbene sì, ho fatto parte del team di super professionisti che ha realizzato le luci e le proiezioni degli spettacoli. Fu un’avventura speciale, una vera sfida, ma partiamo dall’inizio…

Era il marzo del 2015, quando ricevetti la chiamata dell’azienda appaltante il progetto Tree of Life @ Expo 2015. Mi veniva chiesto di pilotare più di 400 universi dmx-ArtNet rispettando  le scelte del capitolato tecnico, ovvero l’utilizzo del software Pandoras Box. Gli universi dmx-artnet servivano a riprodurre contributi video su sette chilometri di strip led posizionate lungo le losanghe che componevano la struttura dell’albero.

Si trattava, quindi, di un enorme pixel mapping di quasi 500 universi dmx-artnet.

Forse potresti osservare che quello non sia l’unico software disponibile, per un compito del genere, ma nel 2015 era l’unico che garantisse, già da qualche anno, di eseguire il lavoro con l’affidabilità necessaria.

Nel capitolato tecnico era consigliato l’utilizzo della versione server di Pandoras Box,  computer molto costosi, troppo, perfino per quell’occasione. «Tutte le quotazioni che troviamo – mi confidarono dall’azienda appaltante – propongono questi server. Tu hai una soluzione più efficace?».

Io sapevo che la risposta era sì, ma sapevo anche che la sfida sarebbe stata grandissima.

Nel prossimo passo, ti racconterò come l’ho affrontata.

Ideare una soluzione

La sfida, dicevamo, era grande, forse più grande di me. Secondo le specifiche tecniche, i server Pandoras Box potevano pilotare fino a 60 universi Artnet-dmx per computer. Il progetto avrebbe richiesto, quindi, l’utilizzo di almeno 9 server e, di conseguenza, dei costi esorbitanti. A questo punto, dovevo trovare il modo di utilizzare il software Pandoras Box Player con un hardware customizzato capace di superare il limite dei 60 universi per computer.

In quelle ore pensavo: «Sarà il lavoro più importante per l’Italia, forse secondo soltanto al mitico concerto dei Pink Floyd a Venezia; sarà visto da migliaia, che dico, da milioni di persone e mi viene chiesto di ottimizzare i costi. E i rischi, chi se li assume?». Ho passato alcune notti insonni nel mio laboratorio. Non potevo permettermi di proporre una soluzione poco affidabile o addirittura non funzionante.  «Devo trovare la combinazione ideale» mi ripetevo.

Finalmente, dopo molti test effettuati e numerosi componenti cambiati, nei miei computer, eureka! Avevo prodotto una soluzione hardware affidabile ed economica: un computer, che attraverso l’utilizzo del software Pandoras Box Player, riduceva i costi del pilotaggio dell’installazione e superava i limiti dei server.

Fu così che entrai a far parte del team dell’Albero della Vita, ma le sfide non erano ancora finite.

Leggi il prossimo step per scoprirle.

Pandoras box

Una struttura molto complessa

Bene, la scelta dell’hardware da installare rispettava il budget a disposizione. Ma le difficoltà non erano certo terminate!

Come certamente ricorderai, nel 2015 l’Albero era animato anche da videoproiezioni: si trattava di proiezioni mappate sulla sua struttura e prodotte da 8 proiettori per un totale di 240000 ansi lumen. L’albero, però, si presentava pieno di linee e curve che modellavano un oggetto tridimensionale, in altre parole: si trattava di una struttura molto complessa, da videoproiettare e mappare. La direzione creativa aveva scelto di utilizzare due server d3 (oggi si chiama “Disguise”), computer potentissimi che sarebbero rimasti parcheggiati nel vano tecnico per 6 mesi. Hai già capito, vero? Il costo di quest’operazione era altissimo.

L’azienda appaltante stava affrontando una situazione al limite del disperato, un percorso lastricato di ritardi e complicazioni che, naturalmente, non facevano che rendere sempre più incontrollabile la gestione dei costi. Mi chiesero ancora una volta di risolvere il problema con una soluzione alternativa.

Non ti nascondo che, in questo caso, la responsabilità era ancora più pesante di quella che mi assunsi con la questione delle strip led. Si trattava di far funzionare un projection mapping di 8 videoproiettori sincronizzati e un contenuto prodotto sulla texture del modello 3D.

Anche questa volta ho trovato una soluzione. Ecco come ci sono arrivato. Avevo notato che, nonostante la struttura fosse molto complessa e il contenuto fosse ad altissima risoluzione, ai videoproiettori veniva dato in gestione un segnale video finale di risoluzione 1.920×1.080. Lasciare parcheggiato per sei mesi un calcolatore capace di mappare 16.000×8.000 pixel di texture sarebbe stato, secondo me, inutile e insensato. Di fatto i server d3 avrebbero calcolato una ingente mole di dati in tempo reale per generare 8 banalissimi flussi video full HD.  Proposi, quindi, di esportare gli output dei server d3 in una serie di file video, riproducibili con un player molto più economico. Ovviamente questa soluzione, in un primo momento, suscitò perplessità nei miei superiori.

Rinunciare ad affidabilissimi dispositivi di proiezione in nome del risparmio non poteva rischiare di tradursi in problemi relativi alla qualità e all’operatività? Era opinione comune che, in caso di sostituzione di un videoproiettore, sarebbe stato necessario coinvolgere nuovamente i server d3 e il relativo operatore per ricalcolare il contenuto partendo dall’oggetto 3d e dal mega file.

La mia esperienza nel mondo del projection mapping (o video mapping, se preferisci) mi venne nuovamente in soccorso. Sapevo molto bene, infatti, che, in caso di sostituzione di un videoproiettore, il punto di proiezione rispetto all’oggetto 3D sarebbe rimasto invariato. Potevamo procedere senza rischi!

Proposi perciò di integrare il già presente sistema Pandoras Box della strip led con altri due computer in grado di generare gli 8 output video e di applicargli un semplice warper bidimensionale, sufficiente a deformare leggermente l’immagine e correggere le piccole distorsioni ottiche date dalla differenza di videoproiettore.

Bastò quindi esportare le uscite del server d3 in otto file video full HD e fu possibile riprodurre il contenuto per tutti e sei i mesi di installazione a un costo estremamente contenuto.

Nel prossimo passaggio, ti racconterò le fasi dell’allestimento.

L’allestimento

Era il 25 aprile 2015, quando cominciò l’allestimento per noi. Erano stati previsti cinque giorni di lavoro, ne servirono quindici.

Un’altra grande sfida ci si parava davanti: trasportare i quasi 500 universi ArtNet ai controller disposti all’interno dell’albero.

L’ArtNet viene comunemente usato in modalità “broadcast”, tanto più lo era nel 2015. La modalità broadcast prevede che tutti i dispositivi all’interno della rete cablata ricevano  contemporaneamente i dati di tutti i pixel dell’installazione. Questo sistema, in virtù della mole di dati da trasmettere, avrebbe sicuramente generato un carico di lavoro ingestibile per gli switch di rete.

Decisi perciò di utilizzare una funzionalità alternativa e di generare l’ArtNet in modalità “unicast”, riuscendo così a inviare a ciascun controller soltanto i dati che lo riguardassero.

Questa soluzione permise di gestire il volume enorme di dati utilizzando solo il 20% della banda passante della rete.

Ti voglio raccontare un altro aspetto della vicenda: con la soluzione “unicast” abbiamo notevolmente semplificato la vita anche ai tecnici che dovettero installare i circa 30 controller ArtNet-DMX da 16 universi ciascuno. In caso di sostituzione, il tecnico avrebbe dovuto modificare solo un parametro invece di 17. Ogni controller ascoltava, infatti, gli universi con indirizzo da 1 a 16, quindi, in caso di spostamento o sostituzione del controller, sarebbe bastato cambiare indirizzo IP invece di modificare i 16 indirizzi di universo oltre all’indirizzo IP.

Durante l’allestimento, abbiamo creato anche un’interfaccia interattiva per l’aggiornamento costante dei testi sui monitor informativi e degli orari di esecuzione degli show.

Questo accorgimento permise ai colleghi che rimasero in assistenza all’installazione di aggiornare contenuti e messaggi sui monitor con grande facilità per tutti i mesi di apertura.

Quando Expo 2015 terminò, ci fu richiesto di smontare i media server, come accadde per tutta la tecnologia presente sull’Albero. Tornammo a montare i server per la stagione estiva seguente. Fu nel 2017 che la società che gestisce l’Albero della Vita acquistò macchinari e attrezzature per produrre lo spettacolo in versione ridotta.

Anche oggi, se ti capiterà di passare da Milano Nord, distinguerai la silhouette dell’Albero stagliarsi in cielo e lo vedrai ancora respirare, vivo e fiero…

Spero l’articolo ti sia stato utile! Se è così, condividilo con i tuoi colleghi e se vuoi fare un commento o chiedermi una consulenza non esitare a contattarmi!

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